sabato 26 febbraio 2011

Il vento di libertà che soffia sul Maghreb,

Attenti, l'Africa è tutta in fiamme. Un esperto ci spiega che succede. Il principe Idris Al Senussi: "I giovani arabi fanno bene a ribellarsi"

1 di 23Il pretendente al trono della Libia Idris Al Senussi con uno dei due suoi figli avuti dal primo matrimonio Il pretendente al trono della Libia Idris Al Senussi con uno dei due suoi figli avuti dal primo matrimonio
Roma, febbraio
«La maggioranza dei giovani tunisini ed egiziani, con grandi sacrifici loro e delle loro famiglie, hanno studiato, si sono laureati. Oppure hanno un diploma e un mestiere. Si informano, si confrontano col resto del mondo su internet. Insomma, sono moderni. Si accorgono che il mondo fa progressi, che i loro amici e parenti emigrati dall’altra parte delmare, anche in Italia, a 70 chilometri di distanza, stanno in un mondo dove ci sono diritti, speranze e benessere. Invece nei loro Paesi non trovano chi interpreta i loro bisogni. Nessuno si interessa a loro. Protestando dimostrano di amare i loro Paesi, che vorrebbero floridi e dove invece ristagna la povertà per molti e la ricchezza per pochissimi. Allora vanno in strada a chiedere cambiamenti. Così in Yemen, Algeria. E il disagio cova anche nella mia Libia».
Idris Al Senussi conosce bene il Nordafrica. Nipote dell’ultimo re di Libia, di cui porta il nome e che nel 1969 venne rimosso dal golpe di Muammar Gheddafi, ora vive fra Roma e Washington. Guida il movimento senussita: una delle grandi correnti progressiste dell’Islam, fra le più tolleranti verso lamodernità e i nonmusulmani, che gestisce la seconda maggiore moschea dellaMecca. E avverte: «I nostri giovani non hanno più pazienza. Hanno studiato, guardano Al Jazeera e le altre tv arabe e non, trovano su internet tutte le notizie che fino a pochi anni fa i regimi riuscivano a nascondere. Dobbiamo aiutarli affinché domani possano essere buoni dirigenti».
Non teme che succeda come nell’Iran del ’79, passato dallo Scià agli ayatollah fanatici e violenti? Oppure come a Gaza, dove le prime elezioni libere sono state vinte dagli estremisti di Hamas?
«Avete notato una cosa? Per la prima volta ci sono state manifestazioni di arabi senza una bandiera americana bruciata, o uno slogan contro Israele. Non danno più la colpa agli altri, non ci sono più capri espiatori. Come in tutti i Paesi civili, se le cose non vanno se la prendono con i propri governanti. E, se non fossero stati attaccati dai sostenitori di Mubarak, sarebbero stati cortei non violenti».
Perché le rivoluzioni sono scoppiate proprio adesso?
«Il Muro di Berlino è crollato nel 1989, e non cinque anni prima o dopo. Ci sono tanti fattori. La crisi economica toglie letteralmente il pane di bocca alla gente, perché lo stipendio medio è di 200 euro al mese ma un chilo di pane costa due euro, quasi come inEuropa.Wikileaks ha rivelato che gliamericani disprezzano la gestione di quei governanti che loro stessi finanziano. In Tunisia la scintilla è stato il gesto del laureato che si è bruciato perché la polizia gli aveva sequestrato il carretto della frutta con cui manteneva la famiglia. Gli egiziani si sono mossi a loro volta vedendo che i tunisini hanno avuto successo. E l’effetto domino può continuare».
La Libia sembra tranquilla.
«Gheddafi sta al potere da 42 anni. È il governante autoritario più longevo del mondo. Quando il tempo al governo è molto lungo, si tende a perdere il contatto conla realtà e ad avere paura del cambiamento. La Libia ha molto petrolio e pochi abitanti, come l’Arabia Saudita e gli Emirati: quattro milioni contro gli 80 dell’Egitto. Eppure, invece di avere una ricchezza diffusa e prosperare, è ancora arretrata. Gheddafi ha preferito beneficiare più i suoi seguaci e parenti. Mi auguro che faccia tesoro dei cambiamenti che si annunciano, e che non governi ancora col pugno di ferro».
Che è usato anche in Egitto.
«Mubarak ha torturato gli oppositori in carcere per 30 anni, in Tunisia Ben Alì lo ha fatto per 24anni.Mentre i cinesi sopportano la mancanza di libertà politica perché almeno garantisce loro ricchezza e sviluppo, da noi non c’è né libertà politica, né economica».
InMarocco c’è calma.
«Lì stanno meglio. C’è una monarchia parlamentare, ci sono partiti, giornali, c’è abbastanza libertà. Si è formata una classe media, una borghesia forte. Il giovane re sta facendo riforme. Insomma, esiste uno sbocco alle tensioni».
E in Libano?
«Bene o male quella è una democrazia, malgrado 17 diverse etnie religiose».
Che cosa può fare l’Italia?
«Aiutare Mubarak nella transizione a quella che potrebbe essere la più grande democrazia del mondo arabo. Quanto alla Libia, proprio quest’anno cade il centenario dell’invasione italiana. Mi auguro che Gheddafi, vedendo il vento di libertà che soffia sul Maghreb, compia dei passi e crei istituzioni che permettano il passaggio pacifico alla democrazia. Lui è intelligente, ha capito che ci vuole un’apertura. A dimostrazione di questo, da poco ha restituito qualche proprietà ai libici, tra i qualianchemiei parenti senussiti. E sembra concedere qualche libertà nel campo del commercio ».
Si candida a tornare in Libia?
«Tornerò se e quando arriverà il tempo giusto, e prego che sia vicino. Ma dobbiamo trovare tutti un percorso pacifico e ordinato ».
Mauro Suttora da Oggi.it

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